RACCONTO DI NATALE
un racconto di Paolo Rocchigiani
Potevi scommetterci sopra qualsiasi cosa che il problema fosse lui, sempre lui, costantemente lui: il sistema di alimentazione energetico aveva ricominciato a dare i numeri. Purtroppo l’impianto era quanto di meglio fossimo riusciti a mettere insieme, anzi dovevamo gridare “al miracolo” che, dopo tutte le riparazioni di fortuna e i fantasiosi upgrade che avevamo apportato, riuscisse ancora ad erogare abbastanza energia. In particolare le luci del corridoio 7, a differenza di quelle del 5 e del 9 che si accendevano e spegnevano in modo tanto brusco e imprevedibile da indurre a veri e propri attacchi epilettici, diminuivano ed aumentavano con graduale dolcezza l’intensità del proprio bagliore. L’effetto risultante, che sembrava far percepire una sorta di calore ipnotico a quanti assistevano, ricordava quello delle vecchie luminarie, quelle belle e tipiche degli addobbi delle strade delle nostre città per il Natale… sarà stato per questo motivo che il corridoio 7 era particolarmente frequentato in quei giorni, soprattutto dai più anziani di noi, quelli che meglio ricordavano.
Molti infatti sceglievano il percorso più lungo per svolgere i propri compiti pur di attraversare il 7, dove si trattenevano più del dovuto, scambiando una parola, un saluto, un aneddoto e una stretta di mano con quanti passavano “casualmente” di lì guidati dai medesimi intenti.
Potevo capire il perché lo facessero, mi ero ritrovato anch’io a passarci più tempo del dovuto, percependo un qualcosa simile ad una sorta di ricompensa sociale, ma più che per le luci ero preoccupato per il calore: se l’erogazione energetica avesse abbandonato il sistema di riscaldamento allora sì che sarebbero stati guai. Ne avevo parlato al Consiglio, dovevamo trovare un modo migliore per sfruttare l’energia geotermica, la nostra unica alleata. Come risultato, avevo ottenuto la convocazione di una riunione per decidere sul da farsi. Al solito, sarebbe stata condita da almeno cinque o sei interventi per ricordare questa o quella emergenza risolta brillantemente, almeno un paio di inconcludenti votazioni, non meno di un’ora tra urla e minacce… risultato: nulla di fatto. I “troppo giovani” intanto spingevano per cercare altre fonti energetiche, ma chiaramente non avevano capito fino in fondo la nostra situazione e ancora per un bel po’, paladini di alquanto improbabili alternative, sarebbero rimasti impantanati nel groviglio dei meccanismi del comando rappresentativo. In un certo senso però li ammiravo, perché mi sembravano appartenere quasi ad un’altra razza, o meglio, avevano una sorta di incosciente innocenza ed incarnavano i massimi ideali stampati a fuoco nel nostro DNA: erano curiosi esploratori votati al cambiamento personale e dell’ambiente circostante, pronti a modellare a loro piacimento la propria “casa”, il proprio paese, il proprio pianeta, proprio come lo eravamo stati noi. Purtroppo non avevano ancora ben chiaro il concetto di “proprietà”, ma avrebbero imparato presto.
Avevo sbrigato le mie faccende e potevo fare ben poco; non avevo voglia di starmene da solo però, così mi recai nella grande stanza comune. Sulla parete ad est, i ragazzi del gruppo delle “attività” avevano dipinto un grande albero addobbato con gioioso sfarzo. Che triste sorriso mi venne spontaneo! Nessuno di loro aveva mai visto un albero vero. Ecco, ci stavo ricascando. Succedeva soprattutto nei periodi di ricorrenza delle festività, quando purtroppo mi ricordavo benissimo come era un tempo la vita sulla nostra amata Terra, prima che, prima che loro arrivassero. Andai subito al bancone da Ralph: distillava una bevanda dal gusto terrificante, ma dal non trascurabile potere di non lasciarmi sopraffare dai pensieri. Non avevo mai avuto il coraggio di chiedere come la facesse, purtroppo avevo una mezza idea e avere la conferma non avrebbe certo giovato alla mia salute mentale.
Dammi il solito Ralph e alla tua salute. Bevvi tutto d’un sorso. Era l’unico modo… bleah, stavolta era forse peggio del solito. Tutto cominciò proprio in prossimità del Natale. Ricordo che al loro arrivo si fece un gran parlare del ritorno del Salvatore, della lettura dei segni, dell’avvicinarsi di grandi cambiamenti dopo una grande prova di tribolazione. “Grandi prodigi nell’aria furono visibili”, mi sembra che si scrisse proprio così su molti siti e giornali, ma probabilmente ricordo solo l’immagine dell’idea che mi ero fatto di quella assurda situazione. Che caos che ne scaturì! Per noi al tempo più giovani, fu più facile accettare e non impazzire di fronte all’invasione aliena, dopotutto eravamo pronti grazie a tutti quei film sul tema diventato sempre più ricorrente quasi con fare profetico, e non di meno grazie anche ai videogiochi… ma quanti impazzirono non sostenendo la vista di quegli esseri! Quanti mondi nella testa di così tante persone andarono in pezzi in un solo istante! E poi fu la guerra… Ed eccoci qui oggi. Nascosti sotto terra, scacciati da casa nostra, chiamati ad essere la “resistenza”, l’ennesima resistenza. Non mi ricordavo neanche chi avesse costruito la cittadella sotterranea in cui fummo portati per sopravvivere, est o ovest, sud o nord, nessuna differenza. Mi ricordai invece di quando tutta la famiglia era riunita per il Natale a mangiare fino a scoppiare, mentre eravamo sommersi dalle carte strappate per liberare i regali. In quei momenti c’era l’essenza dell’essere umano: condivisione, fratellanza, felicità. Mentre tenevo in mano il bicchiere lottando con la parte più folle di me che quasi ne voleva un altro, entrò nella sale padre Malidas. In realtà si chiamava padre Jeorge, ma io preferivo il nome che gli avevo affibbiato, mi era più simpatico e sembrava calzargli a pennello. Era un brav’uomo e in quel periodo, con la Bibbia nella mano destra e la pistola nell’altra, regalava conforto e una sorta di sicurezza. Nei tempi oscuri in cui vivevamo, l’idea nuovamente riproposta della nascita di un Salvatore attecchiva in modo profondo nelle anime disperate delle pecorelle del suo sempre meno numeroso gregge.
La sirena dell’allarme scosse i miei sensi strappandomi ai miei pensieri. Le migliaia di ore spese nelle esercitazioni attivarono inconsciamente gli abitanti della cittadella sotterranea. Ognuno sapeva cosa fare. L’attacco arrivava nella zona 8 del settore 11. Mi precipitai a prendere la mia arma, ad indossare il respiratore e a raggiungere la mia unità. Ci mettemmo in fila mentre la voce del capitano veniva sovrastata dalla furia incessante dell’allarme. Ci muovemmo disciplinati in direzione dell’uscita n. 89. Mentre passavamo per il corridoio 7, mi venne in mente di quando i miei Natali erano impreziositi dai miei cari e dalla neve: quanto aspettavamo la neve da bambini! Tirai giù la visiera del casco e azionai il respiratore, mi venne da sorridere visto che a breve, una volta uscito fuori all’aperto, di nuovo a Natale avrei rivisto la neve dopo decenni: non la soffice e bianca che ricordavo, ma la oscura e malata neve del perenne inverno nucleare, il regalo dei nuovi padroni sempre pronti a darci la caccia, la neve che inesorabile cadeva sulla nostra povera Terra depredata ormai di ogni sua bellezza. Mi voltai e vidi padre Malidas accanto a me che si accendeva un sigaro:
-Buon Natale figliolo, andiamo a regalare un po’ di piombo ai nostri fratelli intergalattici!-